4 pregiudizi sullo psicologo da sfatare

Quando si ha un problema personale, quando si incontra una difficoltà, quando ci si trova in un momento di transizione nel corso della propria vita, andare dallo psicologo può essere la chiave di volta per sbloccare la situazione. Non solo quando sentiamo il bisogno di risolvere un disagio, ma anche per lavorare su noi stessi, migliorarci, accrescere la nostra consapevolezza e anche l’autostima.

In un momento come questo, in cui la pandemia da coronavirus ha sconvolto la nostra quotidianità, imponendoci di cambiare abitudini, la questione dell’aiuto psicologico dovrebbe essere al centro della conversazione. Come evidenziano diverse testate giornalistiche, il Coronavirus sta danneggiando la salute mentale di molti, soprattutto dei minori.

Eppure, ancora al giorno d’oggi, la professione dello psicologo (o dello psicoterapeuta) è avvolta da un alone di sospetto, guardata con una certa circospezione. Esistono diversi pregiudizi sullo psicologo e sul suo lavoro che sarebbe bene sfatare.

Lo psicologo è per i matti

Nell’opinione comune (anche un po’ superficiale), soltanto i matti vanno dallo psicologo. Se si decide di intraprendere un percorso di quel tipo, ci deve essere per forza qualcosa che non va, qualche rotella fuori posto, qualcosa da aggiustare. “Vai dallo psicologo? Sei matto!”

Questo è probabilmente il pregiudizio più diffuso, radicato nel nostro sentire comune, alimentato da stereotipi spesso duri a morire.

Come evidenzia il dottor Manuel Marco Mancini, psicologo a Roma Eur nel video “Solo i pazzi vanno dallo psicologo?”, in realtà è vero l’esatto contrario. Spesso sono coloro che rifiutano di chiedere un aiuto, rivolgendosi a un professionista della salute mentale, quelli che hanno più problemi.

Lo psicologo viene visto come colui che cura l’anormalità, la malattia della mente. In realtà, la normalità non esiste davvero. Tutti possono affrontare un periodo nero, un momento di forte sofferenza che causa disagio e impedisce di vivere la propria vita appieno. Inciampare e cadere è normale. Non bisognerebbe affatto provare vergogna nel chiedere una mano per rialzarsi.

Se dovessimo indicare che tipo di persone vanno dallo psicologo, troveremmo tre categorie: le persone che effettivamente soffrono di gravi disturbi psichici; quelle che stanno attraversando una fase della propria vita o un evento stressante, una problematica circoscritta che, però, porta con sé dolore e magari sintomi (ansia, attacchi di panico, etc); coloro che vogliono lavorare su sé stessi, conoscersi meglio, migliorare.

 

Lo psicologo è per persone deboli

Altra convinzione molto diffusa: andare dallo psicologo significa essere dei deboli, persone incapaci di farcela da sole. “Avrò pure un problema, ma voglio farcela con le mie forze” potrebbe dire qualcuno.

Questo pregiudizio, di solito, è più diffuso tra gli uomini che tra le donne, per ben ovvi motivi. La società in cui viviamo ci impone di essere sempre al top, super performanti. Vengono sempre esaltate caratteristiche come l’efficienza, l’efficacia, la capacità di svolgere bene il proprio lavoro senza lamentarsi. Tutto questo, naturalmente, incide sull’immagine che abbiamo di noi stessi. Dobbiamo sempre essere vincenti.

In realtà, però, rivolgersi a uno psicologo non è affatto una scelta da deboli o incapaci, anzi. Significa aver raggiunto una certa maturità emotiva, aver raggiunto una superiore forma di consapevolezza su sé stessi.

Inoltre, bisogna sempre tenere in conto questo aspetto: non è lo psicologo (o lo psicoterapeuta) a risolverci i problemi. Il professionista non ha la bacchetta magica e non è un santone o un guru che imponendo le mani ci guarirà dal nostro male interiore. È soltanto qualcuno che può guidarci nella riscoperta delle nostre risorse e potenzialità, che ci permette di acquisire gli strumenti necessari a prenderci cura in prima persona di noi stessi. Senza impegno, senza forza di volontà, non c’è terapia che tenga.

Lo psicologo manipola la mente delle persone

Diverse persone si oppongono all’idea di andare da un professionista perché pensano che lo psicologo possa manipolare la mente e cercare di inculcare loro convinzioni, opinioni, pensieri.

Il fatto è che se lo psicologo facesse qualcosa del genere, non sarebbe un professionista ma un approfittatore, qualcuno che sfrutta le proprie conoscenze al fine di ottenere vantaggi personali.

Il codice deontologico a cui si attengono psicologi e psicoterapeuti è molto chiaro su questo punto:

“Lo psicologo rispetta l’autonomia e le credenze dei suoi pazienti, si astiene dall’imporre il suo sistema di valori e non usa in modo inappropriato la sua influenza”

Perché il percorso venga portato a compimento e vengano raggiunti dei risultati ottimali, paziente e psicologo devono instaurare un legame sano, basato sulla fiducia e sul rispetto reciproco. Un buon psicologo non cercherà di cambiare il paziente, di plasmarlo secondo le proprie idee né tantomeno di renderlo dipendente da sé.

Se vado dallo psicologo, ci vorranno anni per risolvere il problema

È vero, alcuni percorsi richiedono molto tempo per arrivare alla loro naturale conclusione. Spesso si sentono testimonianze di pazienti che sono stati anni e anni in terapia.

In realtà, però, la durata di una terapia o di un percorso con lo psicologo dipende da diversi fattori, a partire dalla problematica per la quale si richiede un consulto, passando per l’orientamento teorico del professionista, arrivando poi agli accordi presi nel corso delle prime sedute.

La psicoterapia dura troppo, dunque?

No, dipende.

Non è possibile stabilire fin dall’inizio, in modo preciso, quando finirà. Ma esistono percorsi brevi.

C’è la consulenza psicologica che, per definizione, dura qualche seduta e serve a inquadrare il problema e a decidere come e se proseguire con un percorso di sostegno o una psicoterapia.

Esiste la psicoterapia breve strategica che si propone come intervento limitato nel tempo, focalizzato sul trovare una soluzione alla problematica presentata dal paziente, utilizzando protocolli e strategie.

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